Valore legale dei titoli di studio rilasciati dalle Istituzioni AFAM anche alla luce della recente sentenza del TAR Lombardia n. 6806 del 27 dicembre 2007 Parere dell'Avvocato Giuseppe Leotta |
18-01-08 |
PARERE DELL’AVVOCATO GIUSEPPE LEOTTA CIRCA:
valore legale dei titoli di studio rilasciati dalle Istituzioni AFAM anche alla luce della recente sentenza del TAR Lombardia n. 6806 del 27 dicembre 2007.
Essendo questo mio scritto destinato a “parlare” ad una platea di persone tendenzialmente non del tutto esperte di diritto (docenti e studenti) userò volutamente un linguaggio diverso rispetto a quello che avrei usato ove la platea dei lettori fosse stata costituita esclusivamente da tecnici.
Pertanto ritengo che l’analisi della problematica debba prendere le mosse proprio da alcune dichiarazioni pervenuteci di recente da parte di chi ha responsabilità di Governo.
In data 9 gennaio 2008, il Sottosegretario Dalla Chiesa afferma nel suo blog che «il TAR della Lombardia certifica, una volta di più, l’equipollenza di Accademie e Università» aggiungendo altresì, per replicare ad un perplesso internauta (Filippo Messina), che la legge 508/99 all’art. 2, comma 5 (quello che prevede un DPCM affinché vengano dichiarate le equipollenze tra i titoli di studio rilasciati ai sensi della presente legge e i titoli di studio universitari al fine esclusivo dell'ammissione ai pubblici concorsi per l'accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego per le quali ne è prescritto il possesso) «parla delle equipollenze orizzontali (per capirsi: economia e commercio e scienze bancarie), non del livello dei titoli di studio».
Sennonché il mese scorso, precisamente il 18 dicembre 2007, il Ministro Mussi – a seguito delle proteste montate presso alcune istituzioni AFAM di Napoli – ha scritto di proprio pugno al competente (per materia) assessore del comune di Napoli dichiarandosi «consapevole dei problemi posti dall’equipollenza tra titoli di studio rilasciati ai sensi della legge 508/99 ed i titoli di studio universitari» annunciando di aver inviato al CNAM uno schema di decreto «al fine di ovviare alle disparità da ciò causate».
Non v’è chi non veda come quanto affermato dal Sottosegretario Dalla Chiesa sia diametralmente differente rispetto a quanto sostenuto una ventina di giorni prima dal Ministro Mussi.
Per carità, in un Paese democratico le diversità di opinioni sono sempre una ricchezza. Tuttavia su temi di natura squisitamente giuridica sarebbe forse opportuno far parlare più i tecnici e meno i politici.
Non va tuttavia sottaciuto come, fra le dichiarazioni del Ministro e quelle del Sottosegretario, sia invero venuto alla luce un elemento nuovo: la predetta pronuncia del TAR Lombardia.
È opportuno, a questo punto, esaminarne sommariamente il contenuto per comprendere più a fondo se essa possa costituire, o meno, un elemento di novità tale da legittimare la diversità fra la posizioni espresse dal Ministro Mussi in data 18 dicembre 2007 e quella espressa successivamente dal Sottosegretario Dalla Chiesa.
La sentenza trae le proprie mosse da un ricorso presentato dall’Accademia di Brera avverso la propria esclusione dalla possibilità di concorrere nell’ambito di una procedura selettiva, rivolta alle “Università” lombarde, per il finanziamento di progetti di alta formazione per il mercato del lavoro.
Il TAR Lombardia, analizzando l’evoluzione normativa del settore AFAM dalla prima riforma Gentile ai giorni nostri (passando per l’art. 33 della Costituzione e la L. 508/99), ha correttamente potuto rilevare le «evidenze normative di piena equiparazione e parità di trattamento giuridico fra istituzioni universitarie e le Accademie di Belle Arti». Tra tali evidenze normative viene presa in riferimento anche «l’equipollenza di titoli e parità di diritti fra studenti universitari e degli istituti superiori di grado universitario».
L’iter logico giuridico seguito dal Collegio è senz’altro corretto e condivisibile. In buona sostanza il TAR non ha fatto altro che prendere atto dell’esistenza di una Legge (la 508) che enuncia dei principi in virtù dei quali è da considerarsi doverosa una piena assimilazione del sistema AFAM a quello universitario. Ribadisce dunque il TAR che, stando alla lettera della L 508, le istituzioni AFAM dovrebbero rilasciare titoli equipollenti a quelli rilasciati dalle Università (art. 2, comma 5).
Non convincono tuttavia le conclusioni che vengono tratte dal Sottosegretario Dalla Chiesa. Egli sostiene che l’art. 2, comma 5 della L. 508/99 avrebbe ad oggetto quelle che lui chiama “equipollenze orizzontali” e, conseguentemente, sul piano del “livello dei titoli di studio” non sussisterebbe alcuna differenza rispetto ai titoli rilasciati dalle Università. Da ciò discenderebbe la non necessarietà dal DPCM previsto ma mai emanato.
A questo punto però una domanda sorge spontanea: se il DPCM non è necessario, perché il legislatore lo avrebbe previsto?
A prescindere da ogni ulteriore considerazione legata alla c.d. sperimentalità dei corsi (triennali e biennali) attivati in ambito AFAM, sembrerebbe che la sentenza del TAR Lombardia, al contrario di quanto pensa il Sottosegretario Dalla Chiesa, non sposti i termini del problema.
Il problema, in primis per gli studenti, è infatti proprio l’equipollenza orizzontale.
Chi, nella ricerca disperata di un posto di lavoro (più o meno precario), si è trovato a partecipare ad una procedura concorsuale per l'accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego si è potuto rendere conto come, nella stragrande maggioranza dei casi, sia richiesto – quale requisito minimo – il possesso della laurea in materie specificamente indicate (ad esempio: architettura, lettere, giurisprudenza, storia, filosofia etc).
Ebbene il diplomato AFAM che intendesse partecipare a procedure selettive che prevedano come requisito d’accesso il possesso della laurea in qualsivoglia materia sarebbe escluso dalla graduatoria concorsuale poiché il proprio titolo di studio (diploma di conservatorio o di accademia), allo stato, non è equipollente ad alcuna laurea specifica (si veda esempio relativo al concorso presso il comune di Rosignano Marittimo già pubblicato sul sito UNAMS).
A quanto affermato dal Sottosegretario Dalla Chiesa (il quale tuttavia da un lato fa riferimento alla sentenza del TAR Lombardia che, per le ragioni anzidette, è in conferente rispetto alla problematica qui trattata, e dall’altro non porta alcuna ragione giuridica a fondamento della sua tesi), il problema potrebbe non sussistere (il condizionale è d’obbligo anche alla luce della sperimentalità dei corsi attivati presso le Istituzioni AFAM) ove il requisito d’accesso ai concorsi fosse rappresentato dal possesso di una laurea tout court.
Ma, quanti sono i concorsi in cui è richiesta una “mera” laurea e quelli che, al contrario, prevedono il possesso di una laurea specifica?
Per quale ragione, per mancanza del DPCM, un diplomato AFAM deve essere posto in una posizione di obiettivo svantaggio nei confronti di un laureato all’Università?
Sulla scorta di quanto sin qui spiegato si può concludere che, contrariamente a ciò che intende far credere il Sottosegretario Dalla Chiesa (ma non il Ministro Mussi), la sentenza del TAR Lombardia non ha spostato i termini del problema che sussisteva prima e continua a sussistere adesso ma, se ce ne fosse stato bisogno, ha soltanto confermato la bontà della legge di riforma 508, che già conoscevamo. Una bontà che, però, può esprimere i suoi effetti a patto che detta legge sia attuata in tutti i suoi aspetti e, nello specifico, sia attuata per quanto attiene appunto la validità dei titoli, ossia: con il D.P.C.M. previsto nell’art. 2.
Ciò premesso, a noi comuni mortali, rimangono del tutto oscure le ragioni per cui si dice e si fa di tutto, tranne che procedere all’unica cosa risolutiva e che risolverebbe qualsiasi problema alla radice appunto emettere il D.P.C.M. previsto.
Ai posteri l’ardua sentenza....
Avv. Giuseppe Leotta