In un Paese normale, questo mio intervento non avrebbe ragion d'essere. Se non altro perché non ve ne sarebbe stato bisogno.
Non ve ne sarebbe stato bisogno perché giammai amministratori pubblici normali avrebbero potuto pensare di fare qualcosa che non rientrava nei loro poteri.
Ma, anche qualora fossero incorsi nell'errore, giammai si sarebbero sognati di reiterarlo. Per due semplici motivi:
a) in un Paese normale, le sentenze dei Tribunali vengono rispettate e nessuno - men che meno una Pubblica Amministrazione - si sognerebbe di disattenderle;
b) in un Paese normale, chi sbaglia paga di tasca propria i danni che le sue decisioni hanno provocato.
Nulla di tutto ciò avviene in Italia, anche se in altri settori della “cosa pubblica” il fenomeno non sempre assume l'entità, invero patologica, che ha assunto nel comparto AFAM. Intendiamoci: non per pura casualità, ma per responsabilità ben precise.
Dal momento che, quale consulente dell'UNAMS, sono stato investito del compito di seguire la negoziazione del CCNL, mi permetto di segnalare ai Lavoratori alcune valutazioni che vanno oltre i profili più squisitamente giuridici ma che allo stesso tempo ritengo doverose da parte di chi, per l'attività che è chiamato a svolgere e per gli studi che ha fatto, possiede degli strumenti di conoscenza (o quantomeno dovrebbe possederli) utili per meglio comprendere quanto stia avvenendo nel “mondo” dell'AFAM.
Cosa c'è dietro le “nuove” declaratorie ed i nuovi corsi triennali? Cosa spinge i dirigenti del Ministero a reiterare provvedimenti già dichiarati illegittimi da un Tribunale della Repubblica? Perché, con il silenzio-assenso dei Sindacati confederali (CGIL-CISL-UIL), si tenta di far passare un CCNL che, senza neanche far recuperare agli stipendi il potere d'acquisto perduto in virtù del tasso di inflazione, vorrebbe introdurre dal nulla il meccanismo delle tre fasce? Perché in molte Istituzioni i Consigli Accademici (spesso di fatto controllati dai Direttori) si arrogano la facoltà (invero non prevista) di normare in materia di elettorato attivo e passivo, riconoscendo il primo ai docenti a contratto (e, dunque, non di ruolo) e negando il secondo ai docenti di seconda fascia (che, ad esempio, non potranno svolgere il ruolo di preside dei costituendi dipartimenti anche se, in virtù di una serie di pronunce ottenute dall'UNAMS e dal sottoscritto, possono essere eletti in seno al Consiglio Accademico)?
La strategia non è proprio originale, ma spesso in passato si è rilevata vincente. I latini la sintetizzavano nella perifrasi “divide et impera”, dividi e comanda. Sì, proprio così: si sono divisi i Direttori dal resto del corpo docente, mettendoli gli uni contro gli altri; si è diviso il corpo docente al suo interno, rendendo possibili macroscopiche discriminazioni ai danni di soggetti a vario titolo considerati “non allineati” (vuoi perché di seconda fascia, vuoi perché non graditi ai direttori, vuoi perché potenziali concorrenti di soggetti graditi ai direttori, vuoi perché iscritti UNAMS).
Permettendo a volte ai Direttori la gestione in via di fatto degli incarichi aggiuntivi (che secondo il CCNL sarebbero invece dovuti esser conferiti dalle strutture didattiche secondo modalità definite in contrattazione integrativa), li si è dotati di un'arma devastante di cui non tutti hanno voluto fare buon uso. Da primus inter pares, il Direttore si è venuto a trovare nelle condizioni di poter decidere del futuro economico-professionale dei suoi colleghi. Ecco dunque che non di rado abbiamo assistito a casi di “non allineati” senza alcun incarico aggiuntivo e “fedelissimi” con il massimo di ore aggiuntive.
Con le “nuove declaratorie” (per fortuna sospese dal TAR) si sarebbe voluto fare il definitivo “salto di qualità”. Qualora fossero diventate effettivamente operative, avrebbero infatti comportato la proliferazione dell'utilizzo dello strumento del contratto di lavoro a termine in relazione al quale il Direttore avrebbe avuto di fatto ogni più ampio potere. A ciò si aggiunga che si sta tentando di dare il diritto di voto (per l'elezione del Direttore, dei membri del Consiglio Accademico e del CdA) proprio ai docenti a contratto (precari e dunque ricattabili). Il cerchio sarebbe stato dunque chiuso: io Direttore faccio avere a te un contratto a termine per l'insegnamento di “Arpa Barocca” e tu voti per me (o per i miei).
Se questa è la situazione generale del “sistema”, non va però sottaciuto che a volte, in specifiche realtà (ad esempio Firenze, Carrara e Venezia), assistiamo a circostanze assai poco chiare su cui sarebbe opportuno che indagassero le Magistrature (penali e contabili) competenti. Circostanze la cui inaudita e palese illegittimità giuridica ci lascia invero increduli e basiti.
Abbiamo combattuto contro tanti Golia e li abbiamo saputi sconfiggere. Ma le sconfitte inferte purtroppo non sono ancora definitive. Come dimostra la vicenda delle declaratorie, ci troviamo di fronte ad un mostro con più teste: anche se si riesce a tagliarne una, rimangono pur sempre le altre. C'è quindi bisogno che la categoria acquisisca definitivamente coscienza dei problemi sul campo e sappia dare sostegno (anche in termini associativi) a chi, come l'UNAMS, ha finora impedito che il disegno architettato dai “poteri forti” fosse definitivamente realizzato.
Avv. Giuseppe Leotta