LETTERA APERTA AI LAVORATORI DEL COMPARTO AFAM
«Qui si pone la domanda: se il
popolo capace di agire è il popolo
della democrazia e il popolo che
subisce è il popolo delle autocrazie,
quello chiamato soltanto a reagire è
il popolo di quale forma di governo?
Forse, conformemente all'etimo, il
popolo della demagogia.»
(Gustavo Zagrebelsky, Il crucifige e
la democrazia)
Roma, 22 luglio 2008
Nella giornata di ieri sono venuto a conoscenza di una “lettera aperta ai docenti dei Conservatori” redatta dal Maestro Bruno Carioti nella qualità di Presidente della Conferenza dei Direttori dei Conservatori di Musica.
Come si direbbe in Parlamento, sono costretto a prendere nuovamente la parola per “fatto personale” anche se desidero cogliere l'occasione per esplicitare alcune considerazioni di carattere generale.
In più passi del testo, infatti, il Maestro Carioti si riferisce al sottoscritto formulando delle valutazioni negative sulla mia competenza e professionalità.
Già in passato ho ricevuto questo tipo di accuse (per la verità in una forma più diretta e, se vogliamo, più “coraggiosa”) da parte dell'ex Sottosegretario, On. Nando Dalla Chiesa. Accuse sulla cui legittimità sarà chiamato presto a pronunciarsi un Tribunale della Repubblica.
A dire il vero, ancora prima, ero stato diffamato per via telematica da un delegato CGIL per esser stato consulente dello Studio legale dell'attuale Presidente del Senato. In questo caso però ho deciso di soprassedere di fronte ad un macroscopico errore di un lavoratore che non aveva la minima idea di quello che aveva fatto. Non nascondo inoltre che, una volta riconosciuta la gravità di quanto accaduto da parte della responsabile CGIL (Paola Poggi), non me la son sentita di “infierire” contro un onesto lavoratore con cui, probabilmente, condivido formazione culturale e valori di rifermento.
Formazione culturale e valori di riferimento che mi hanno portato a laurearmi con una tesi su “sciopero e serrata nella Giurisprudenza della Corte Costituzionale” ed ad essere “scelto”, appena ventitreenne, dal Prof. Massimo D'Antona che avevo avuto modo di conoscere in seno alla Scuola di Specializzazione in diritto sindacale, del lavoro e della previdenza sociale in cui ero riuscito ad entrare dopo la laurea risultando vincitore del concorso pubblico all'uopo approntato. Il tragico omicidio ad opera delle sedicenti brigate rosse ha però determinato bruscamente la fine della nostra collaborazione.
Il rigore dell'approfondimento giuridico e la finezza dell'analisi politica che hanno connotato l'insegnamento del Prof. D'Antona non mi hanno mai abbandonato. Anzi, pur in sua assenza, mi hanno guidato (nel senso alto del termine) nelle successive tappe della mia vita professionale ed accademica.
Il suo insegnamento mi ha consentito, da sconosciuto e giovanissimo emigrante calabrese, di scrivere per la Rivista Giuridica del Lavoro (RGL), uno fra i più prestigiosi periodici giuridici su temi connessi al mondo del lavoro la cui redazione è curata dalla Consulta Giuridica della CGIL e di poter collaborare in seno a due distinte cattedre di diritto sindacale e del lavoro nell'Università di Roma “La Sapienza” e di poter entrare a far parte, ovviamente in punta di piedi, di quella che gli addetti ai lavori chiamano “Scuola di Bari” (ciò in virtù del fatto che il Decano, Prof. Gino Giugni, già ministro e “padre” dello Statuto dei Lavoratori, ha svolto attività accademica presso l'Università di Bari prima di trasferirsi in Roma).
Insegnamento che mi ha consentito di diventare Dottore di Ricerca in diritto sindacale e del lavoro nell'Università di Modena e Reggio Emilia e di arrivare a pubblicare ben tre voci per una delle più importanti enciclopedie giuridiche (il Digesto edito da UTET).
Sperando che questa breve digressione curriculare eviti che in futuro il Maestro Carioti scivoli nuovamente su bucce di banana altrimenti mi vedrò costretto - mio malgrado - a tutelare la mia dignità nelle sedi più opportune, vorrei fare alcune brevi considerazioni sul merito delle argomentazioni da questi avanzate.
Innanzi tutto, non risponde al vero che l'ordinanza sospensiva del TAR non sia entrata nel merito della vicenda. Lo ha fatto e come. Lo ha fatto per relationem, riferendosi alle motivazioni già esplicitate nella sentenza 1561/2007 (ed in altre coeve) di cui riporto, per brevità, soltanto un passaggio: «L'atto impugnato (n.d.r. le declaratorie), al dichiarato scopo di provvedere in esecuzione dell'art. 21 c.2 del C.C.N.L. 16 febbraio 2005, onde consentire gli inquadramenti degli insegnanti nei settori disciplinari di appartenenza, ha sostanzialmente ridefinito le classi di insegnamento nei conservatori di musica. Premesso al riguardo che il Collegio non ravvisa nel disposto del citato art. 21 c.2 la necessità di rideterminare i settori disciplinari di appartenenza, rinviando la disposizione, per la fase transitoria, a due decreti ministeriali del 2003 e del 2004, si osserva come dal quadro normativo applicabile alla fattispecie, costituito sostanzialmente dalla legge 21 dicembre 1999 n. 508 e dal DPR 8 luglio 2005 n. 212, non emerge alcun potere specifico del ministro di modificare i contenuti delle classi di insegnamento».
Se ciò è vero, come è vero, non si vede come il Maestro Carioti possa accusare alcune Organizzazioni Sindacali e molti altri degnissimi lavoratori di essere la causa di uno «stillicidio di ricorsi» finalizzati «ad allontanare sempre di più l'attuazione della riforma».
Non è compito mio ricordare quante e quali battaglie abbia l'UNAMS portato avanti negli anni per addivenire prima alla promulgazione della Legge di Riforma e poi per garantirne una corretta attuazione, rectius una attuazione che non ne svuotasse di fatto i contenuti.
È però mio compito rilevare come responsabile dello «stillicidio di ricorsi» non può essere certamente considerato chi è costretto a domandare giustizia di fronte ad atti e condotte illegittime ma, al contrario, l'indice andrebbe puntato contro coloro che tali atti e tali condotte hanno posto in essere (nel caso di specie addirittura in regime di recidiva).
Risulta altresì non veritiero e con forti connotazioni demagogiche, se non addirittura populiste, il passaggio il cui si instilla surrettiziamente nella mente dei docenti il dubbio che la pronuncia del TAR possa comportare il mancato rinnovo del CCNL, ormai scaduto da quel dì. Dovrebbe spiegare il Maestro Carioti, con tanto di esempi dettagliati, perché la sospensiva concessa dal TAR su declaratorie già dichiarate illegittime con sentenza passata in giudicato sia d'impedimento per la firma del rinnovo contrattuale. Forse, quando le declaratorie non esistevano, non si sottoscrivevano contratti collettivi? Suvvia!!
In un altro passaggio, invero anche questo incomprensibile, il Maestro Carioti lamenta il fatto che nessuno, all'infuori della Conferenza dei Direttori, si sarebbe peritato di fornire proposte alternative rispetto alle illegittime tabelle da quel consesso elaborate. Mi sembra, se non erro, che un soggetto a ciò deputato sia previsto dal sistema: il CNAM e non la Conferenza dei Direttori. Mi risulta altresì che il precedente CNAM, presieduto dalla Prof.ssa Liguori, avesse fatto un egregio lavoro. È da quello che ritengo bisognerebbe ripartire per il futuro.
Intendiamoci: non bisogna fare di tutta l'erba un fascio. Molti sono i Direttori che amministrano correttamente la cosa pubblica dando lustro all'Istituzione che governano. Tuttavia, a prescindere da alcune “isole felici”, il dato che l'osservatore è costretto a registrare non è propriamente positivo. I fenomeni descritti nel mio precedente intervento sono reali e non frutto della fantasia di un visionario. Se non crede a ciò che vado sostenendo, il Maestro Carioti può sempre ascoltare la voce dei diretti interessati; la voce di quei lavoratori che sono stati vittima di quelle “dinamiche” a cui ho fatto riferimento.
Tuttavia, a prescindere dai grevi e volgari attacchi personali e dalle schermaglie dialettiche di carattere politico-sindacale su cui si è appena presa posizione, quello che più mi risulta indigesta è la lezione di democrazia che, ex cathedra, il Maestro Bruno Carioti si è volontariamente offerto di impartire ai pochi (secondo lui) “non allineati”.
La “visione” della democrazia propinata dal Maestro Carioti non è assolutamente condivisa da chi scrive. La “democrazia” cariotiana (e fors'anche quella a cui si ispirano i dirigenti ministeriali) appare invero come un mezzo e non un fine. A volte assume le sembianze del dogma, altre volte quelle della scepsi.
Rubando le parole al Sommo Gustavo Zagrebelsky (Presidente Emerito della Corte Costituzionale) può esser affermato che «sia il dogma che la scepsi possono convivere con la democrazia. Ma entrambi strumentalizzandola. Sia il dogmatico che lo scettico possono apparire amici della democrazia, ma solo come falsi amici, in quanto se ne servono. Il dogmatico può accettare la democrazia se essa e fino a quando essa serve alla verità. Lo scettico, a sua volta, siccome non crede in nulla, può accettarla quanto ripudiarla. Dal punto di vista dei principi, se è davvero scettico, non troverà nessuna ragione per preferire la democrazia all'autocrazia. Troverà invece questa ragione non nella fede in quanto principio ma nella convenienza particolare. Egli potrà essere democratico, fino a quando lo sarà, non per idealismo, ma per realismo».
A queste due concezioni si deve opporre la visione critica della democrazia, «quella di coloro che non si ispirano né alla verità né allo scetticismo. La loro etica è semmai quella della possibilità. In ogni situazione esistono possibilità positive e altre negative. Chi si ispira a una versione critica della democrazia abbandona tanto la sicurezza di chi crede di disporre della verità quanto l'indifferenza di chi crede che una cosa valga l'altra. La democrazia critica non guarda avanti ma si guarda attorno, è sempre pronta a tornare sulle proprie decisioni, per migliorarle. Per questo non accetterebbe mai la massima vox populi, vox Dei (n.d.r. che sembra tanto cara al Maestro Carioti). E rifiuta le decisioni irreversibili, perché non ammettono di essere migliorate....Si può dunque anzi si deve, per non cadere nell'adulazione criticare la democrazia, in nome della democrazia stessa. Non brandendo la verità, perché ciò sarebbe una contraddizione, un atteggiamento da falso amico; ma prospettando possibilità preferibili.»
La democrazia critica non è però la concezione più congeniale agli uomini della politica, o almeno a coloro che fanno della politica (a qualunque livello) il loro mestiere: «L'arena della politica di professione è quella del potere e delle ideologie. Oggi più del potere che delle ideologie. Quell'arena è occupata da coloro che della democrazia hanno una visione dogmatica o scettica». Chi siano costoro nel comparto AFAM è da lasciare alle conclusioni di ciascuno di noi.
Ed ancora: «Abbasso le istituzioni, viva il popolo! Questo potrebbe essere il motto dei demagoghi del nostro tempo: un motto che è un'arma potente perché assume il linguaggio della democrazia e si rivolge, per travolgerlo, contro tutto ciò che parlamento, istanze e procedure di discussione, controllo e garanzia fa perder tempo e sembra disperdere e vanificare la forza che proviene dal popolo. Quando il popolo si è espresso si dice nessun intralcio è lecito. Tutte le altre autorità, comprese quelle deputate alla garanzia della legalità dell'azione di governo non hanno altra scelta che piegarsi o andarsene.»
Scomodando anche Aristotele, non possiamo quindi che ricordare a noi stessi che la democrazia è quella forma di governo in cui tutti sono trattati come esseri umani, e non alcuni come uomini e altri come animali e piante, come oggetti da usare a piacimento. Il che vuol dire che la democrazia critica è quella forma di governo in cui gli esseri umani sono fini e non mezzi: «La difesa della democrazia come fine spetta perciò alla società civile, e non deve stupire che le libere forze intellettuali che essa produce siano per natura portate alla diffidenza nei confronti dei governanti. Di tutti i governanti di turno, perché in tutti esiste sempre la stessa vocazione latente all'opportunismo. E questo non è sabotaggio nei confronti del governo, ma è il compito di ogni cittadino.»
Poiché «nella politica, la mitezza, per non farsi irridere come imbecillità, deve essere una virtù reciproca. Se non lo è, ad un certo punto “prima della fine”, bisogna rompere il silenzio e agire per cessare di subire.»
Ed è proprio questo quello che l'UNAMS (anche attraverso il sottoscritto) sta tentando di fare nel suo piccolo mondo politico (l'AFAM).
Il mio auspicio è che l'UNAMS non rimanga l'unico baluardo della democrazia critica nell'ambito del comparto AFAM e che queste mie riflessioni possano aprire la via per una nuova stagione di dialogo soprattutto con chi (penso alla CGIL) certi valori li dovrebbe avere nel proprio DNA.
Avv. Giuseppe Leotta