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Accademie di Belle Arti, atto I: alla ricerca dell'identità perduta a cura di Saverio Vinciguerra |
Cari colleghi e amici,
in questi giorni ho riflettuto molto, come del resto penso abbiate fatto anche tutti voi, sulle nostre attuali condizioni di docenti delle Accademie di Belle Arti; su tutto ciò che, con grandi sforzi, sacrifici e abnegazione, abbiamo realizzato nelle nostre istituzioni (a costo zero), su precise sollecitazioni delle Amministrazioni centrali e locali, per metterci al passo con i tempi: ossia per abbandonare il modello formativo esistente e adottarne un altro.
Nel corso dell'anno, in alcune Accademie sono avvenuti episodi di protesta studentesca con conseguenti occupazioni di varie sedi. In alcuni casi, su invito degli studenti, ho partecipato alle assemblee nelle quali sono emerse significative istanze che per la prima volta non erano legate solamente a problemi di gestione ordinaria della struttura (mancanza di spazio, riscaldamento, vetri rotti, ecc.), ma toccavano soprattutto questioni di diritti negati, tra i quali quello della scarsità delle ore di formazione laboratoriale. Su quest'ultimo punto occorre fare un ragionamento collettivo circa i corsi caratterizzanti di indirizzo (Pittura, Scultura, Scenografia, Decorazione e altri). A partire dall'esperienza personale, ho da fare una serie di constatazioni, che spero susciteranno in tutti noi un dibattito costruttivo finalizzato a stabilire se le ore a essi assegnate siano sufficienti al raggiungimento degli obiettivi didattici prefissati.
Attualmente le ore a disposizione per i docenti di I fascia, come da contratto ancora in vigore, ammontano a 486. All'interno di tale quadro generale, è intervenuto il D.P.R. 8 luglio 2005, n. 212, che ha stabilito la tipologia degli insegnamenti, i quali sono stati classificati in teorici, teorico-pratici e laboratoriali. Il testo di legge così recita all'art. 6, comma 3 e 8:
Comma 3. I decreti ministeriali determinano, altresì, per ciascuna scuola la frazione dell'impegno orario complessivo che deve essere riservata allo studio personale, alle attività di laboratorio o ad altre attività formative di tipo individuale. Gli stessi decreti assegnano, di norma, rispetto all'impegno complessivo di ciascun credito, alle lezioni teoriche il 30 per cento, alle attività teorico-pratiche il 50 per cento ed alle attività di laboratorio il 100 per cento.
Comma 8. In prima applicazione del presente regolamento, con decreto del Ministro, sentito il CNAM, sono individuate le corrispondenze tra i crediti acquisiti nel previgente ordinamento e i crediti previsti nei nuovi corsi.
Non essendo stati emanati i decreti applicativi previsti dal comma 3 e comma 8, si viene a creare un'ambiguità del termine “laboratorio” la cui interpretazione viene quindi demandata alle istituzioni in virtù dell'autonomia. In primo luogo, secondo il parere personale, la parola “laboratorio”, intesa nell'accezione corrente, svilisce e annulla quella che è stata l'attività storica delle Accademie di Belle Arti e il suo modello formativo. In passato nelle vecchie “Scuole”, oggi trasformate in corsi caratterizzanti, il pensiero, la conoscenza, la ricerca, la prassi, la formazione di un proprio linguaggio artistico, insomma il fare come sapere, non erano momenti separati, ma convivevano in una totalità garantita e rafforzata dalla figura del docente, che seguiva i percorsi di ogni singolo allievo modellando programmi specifici e mirati su ognuno di essi con l'obiettivo di contribuire alla formazione di personalità artistiche autonome. All'interno delle “Scuole”, oltre a essere indagate la natura e le caratteristiche dei materiali espressivi, nascevano riflessioni sulle vicende e sulle problematiche connaturate ai fenomeni artistici.
Questa riflessione non costituisce certo, da parte mia (non mi ritengo in nessun modo un laudator temporis acti), un'occasione di rimpianto o di recupero nostalgico delle Accademie, ma esprime solamente la consapevolezza della perdita di un modello formativo collaudato da secoli, e che ha dato risultati eccezionali. Nel nuovo assetto, secondo la discutibile interpretazione attuale, negli insegnamenti dei laboratori dovrebbe consumarsi solo la fase esecutiva, dal momento che la fase teorica e quella pratica sono di pertinenza degli insegnamenti teorico-pratici. Premesso che, a mio avviso, la divisione tra il momento ideativo e il momento esecutivo è di per sé arbitraria e non corrispondente al reale funzionamento delle Accademie, la faccenda si complica ulteriormente nel caso degli insegnamenti caratterizzanti (ad esempio Pittura), poiché non si conosce la loro collocazione, essendo le sorti degli stessi affidate alla decisione (o all'arbitrio) dell'istituzione. Ma a quale degli organi interni verrà demandato questo compito? Al Consiglio Accademico o al Consiglio di Scuola? Ancora, la produzione artistica (come il dipingere quadri, o altro) dove deve realizzarsi, nei corsi teorico-pratici oppure nei laboratori? I corsi laboratoriali, non ancora ben definiti, saranno tenuti da tecnici o da docenti? Ed essi saranno funzionali e ausiliari alla programmazione dei corsi caratterizzanti, o totalmente autonomi? Infine, quali attività puramente manuali e pratiche(costruzione di telai, tagli di cornici, ecc.) saranno previste in tali corsi?
Lo scenario che si prefigura è dei più tristi per chi, come me, ha sempre avuto a cuore il futuro dell'Accademia. La presenza di queste ambiguità mostra la totale mancanza di un progetto chiaro di rilancio e potenziamento della nostra istituzione in crisi. Allo stato attuale, abbiamo un'unica certezza: che, sotto gli occhi di tutti noi, sta avvenendo la sparizione progressiva dell'identità delle Accademie, con il conseguente smantellamento di un modello formativo consolidato, senza la volontà di sostituirlo con un altro ugualmente valido; e questo risultato è stato ottenuto grazie all'abile opera di esperti illusionisti, con il concorso della passività degli interessati che dovevano vigilare e avere cura di un settore vitale e nevralgico della cultura italiana, quale è quello delle arti, e del destino dei giovani artisti che finora hanno avuto nelle accademie e nel loro ordinamento un saldo punto di riferimento e un luogo di confronto e di dibattito.
Per concludere, voglio illustrare la situazione futura con un'ipotesi che può diventare la realtà di ognuno di noi. Riferendomi al caso personale, in quanto docente di Pittura, all'inizio del nuovo anno accademico, qualora il mio insegnamento rientrasse tra quelli teorico-pratici e il nuovo contratto riducesse l'attuale monte ore da 486 a 300, rimarrebbero, per effetto della riduzione del 50% prevista dalla legge sopra citata, appena 150 ore destinate all'attività del corso. Queste ultime, a loro volta, andrebbero suddivise tra teoria e pratica (quindi 75 dedicate alla prima attività e 75 alla seconda), ripartite nelle tre annualità compresenti nello stesso corso (Pittura 1° anno, Pittura 2° anno, Pittura 3° anno), il tutto ripartito su una popolazione studentesca media di 60 unità. Quanto tempo sarebbe dunque possibile dedicare a ogni studente? I miei calcoli mi dicono che ognuno di essi avrebbe a disposizione due ore e trenta minuti di attenzione da parte del docente.
Sorge adesso una domanda spontanea: in questa congiuntura le istanze dei nostri studenti, di cui si parlava all'inizio, sono fondate e legittime? Penso proprio di sì visto che pagano le tasse e giustamente si aspettano qualcosa di più di un paio di ore di cura individuale. Tali risultati sono la scriteriata applicazione “all'italiana” di un modello formativo europeo, che desta molte perplessità laddove è stato sperimentato. Non sarebbe stato più opportuno aggiornare un modello storico rispondente alle nostre peculiarità culturali nazionali e adattarlo alle richieste contemporanee? Si sarebbe così salvaguardata quella specificità, che ha permesso l'affermazione di competenze e professionalità di altissimo livello. L'attuale mostruosità giuridica e la “chimera”, in tutti i sensi, che essa ha generata, presenta due facce inconciliabili: la prima è un vago modello di tipo universitario, sbandierato quando è funzionale a favorire il processo di distruzione; la seconda è il rispettabile modello della scuola media, quando si tratta dell'inquadramento economico dei docenti; senza dimenticare, quale ulteriore danno e beffa per gli studenti, che il diploma accademico di I e II livello non è stato ancora equiparato, con la conseguenza di rilasciare un titolo di incerta spendibilità. .
Prof. Saverio Calogero Vinciguerra
(docente di Pittura e di Metodologie e Tecniche dell'Affresco)